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Usura e clausola di salvaguardia, banca deve provare di non aver superato il tasso soglia

  • Immagine del redattore: riccardo girolami
    riccardo girolami
  • 12 feb 2020
  • Tempo di lettura: 14 min

Con la sentenza 17 ottobre 2019, n. 26286 la Suprema Corte di Cassazione statuisce importanti principi di diritto in materia di rapporti bancari


CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Sentenza 17 ottobre 2019, n. 26286

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta - Presidente -

Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -

Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -

Dott. D’ARRIGO Cosimo - rel. Consigliere -

Dott. PORRECA Paolo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2655/2017 R.G. proposto da:

M.D.M., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Joelle Piccinino (…) e Mario Lacagnina

(…), con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via San Tommaso

d'Aquino, n. 75;

- ricorrente -

contro

Cerved Credit Management s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, quale procuratore speciale della Credito Valtellinese s.p.a., rappresentata e

difesa dagli Avv.ti Enrico Gozzi (…) e Ferdinando della Corte (…), con domicilio

eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Montevideo, n. 21;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 932 del Tribunale di Monza pubblicata l'11 aprile 2016;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 gennaio 2019 dal Consigliere

Dott. Cosimo D'Arrigo;

udito l'Avv. Ferdinando della Corte;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

M.D.M. proponeva opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., comma 2, avverso la

procedura esecutiva immobiliare intrapresa a suo danno dal Credito Valtellinese,

deducendo l'applicazione di un tasso di interesse usurario nel contratto di mutuo

fondiario posto alla base dell'azione esecutiva.

Sospesa la procedura esecutiva, il M. introduceva dinanzi al Tribunale di Monza la

fase di merito, chiedendo che fosse accertata e dichiarata la natura usuraria delle

clausole di pattuizione degli interessi contenute nel contratto di mutuo, con

conseguente restituzione degli importi indebitamente versati a tale titolo.

Il Tribunale, espletata una consulenza tecnica d'ufficio, rigettava le domande attoree.

In particolare, ravvisava l'assenza di prova di usurarietà sia dell'interesse

corrispettivo, sia di quello moratorio, escludendo che, ai fini della verifica del

superamento del c.d. "tasso soglia", i due dovessero cumularsi, essendo invece

destinati ad essere applicati solo in via alternativa. Rilevava, inoltre, che l'interesse

di mora era rimasto automaticamente al di sotto del "tasso soglia", poichè nel

contratto era inserita una clausola "di salvaguardia" che prevedeva che il saggio di

interessi convenzionale dovesse mantenersi "comunque entro il limite fissato dalla L.

n. 108 del 1996, art. 2".

Il M. impugnava la decisione. La Corte d'appello di Milano, con ordinanza

pronunciata ai sensi dell'art. 348-bis c.p.c., dichiarava inammissibile il gravame.

Il M., ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c., comma 3, ha proposto ricorso per cassazione

avverso la sentenza di primo grado, in base ad un unico motivo.

Il Credito Valtellinese S.p.a. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1.1. Con l'unico motivo si deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la

violazione e falsa applicazione dell'art. 1815 c.c. e dell'art. 644 c.p.. In particolare, il

ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che, ai fini

della verifica del superamento del c.d. "tasso soglia" dell'usura previsto dalla L. 7

marzo 1996, n. 108, art. 2, comma 4, possano essere cumulati gli interessi

corrispettivi e moratori.

Viceversa, il ricorrente valorizza il tenore letterale dell'art. 1815 c.c., comma 2, e

dell'art. 644 c.p., i quali, nel prevedere rispettivamente la sanzione civilistica della

nullità, da un lato, e gli elementi costitutivi del reato di usura, dall'altro, non pongono

distinzioni tra interessi corrispettivi e moratori, valorizzando entrambe le specie ai fini

della verifica dell'eventuale superamento del "tasso soglia".

1.2. In aggiunta, il M. censura anche la statuizione del giudice di merito secondo cui

la presenza di una "clausola di salvaguardia" nel contratto di mutuo sarebbe stata, di

per sè, idonea ad escludere automaticamente il superamento del "tasso soglia".

Osserva il ricorrente che la sola presenza di tale clausola contrattuale (secondo cui,

quale che dovesse essere l'oscillazione del saggio applicato, esso doveva

comunque intendersi sempre contenuto entro i limiti del "tasso soglia") non basta ad

escludere in radice l'applicazione di interessi a tasso usurario, dovendo la banca

dare dimostrazione di averla effettivamente applicata e rispettata (prova, nel caso in

esame, assente); altrimenti il semplice inserimento di una "clausola di salvaguardia"

nel contratto bancario renderebbe automaticamente e perennemente immune l'ente

creditizio da qualsiasi contestazione circa la misura degli interessi praticati.

2. Il ricorso - sebbene articolato in un unico motivo - pone in realtà due distinte

questioni giuridiche.

La prima concerne la necessità o meno di cumulare interessi corrispettivi e interessi

moratori ai fini della verifica del superamento del "tasso soglia" anti-usura.

L'altra questione riguarda l'ambito di applicazione e validità della c.d. "clausola di

salvaguardia", sovente utilizzata nei contratti di finanziamento al fine di evitare lo

sforamento del tasso di interesse oltre le soglie di legge.

3.1. Il corretto inquadramento della prima questione, richiede anzitutto che si faccia

chiarezza su cosa si debba intendere come "cumulo" degli interessi corrispettivi e

moratori.

Occorre muovere dalla premessa che, com'è noto, vi è una netta diversità di causa e

di funzione tra interesse corrispettivo ed interesse moratorio. L'interesse corrispettivo

costituisce la remunerazione concordata per il godimento diretto di una somma di

denaro, avuto riguardo alla normale produttività della moneta. L'interesse di mora,

secondo quanto previsto dall'art. 1224 c.c., rappresenta invece il danno conseguente

l'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria.

Secondo la regola generale, l'interesse di mora è dovuto nella misura legale o, se

maggiore, nella medesima misura degli interessi corrispettivi eventualmente previsti

dal contratto. E' fatta salva la possibilità per il creditore di provare il maggior danno.

Il comma 2 dell'art. 1224 c.c. prevede, però, che il saggio degli interessi moratori

possa essere convenuto fra le parti e, in tal caso, non è dovuto l'ulteriore

risarcimento.

La determinazione convenzione del saggio dell'interesse integra, pertanto, gli

estremi di una clausola penale, in quanto costituisce una predeterminazione

anticipata, presuntiva e forfettaria del danno risarcibile (art. 1382 c.c.).

E' dunque chiaro che i presupposti per la percezione degli interessi moratori sono

ben diversi da quelli degli interessi corrispettivi.

3.2. Ciò posto, in materia di rapporti bancari, può discutersi di "cumulo" degli

interessi corrispettivi con quelli moratori convenzionali in due accezioni differenti.

La prima dipende dalla tecnica di redazione dei contratti bancari. Sovente, infatti, tali

contratti prevedono che il tasso degli interessi moratori si ottenga sommando uno

spread, ossia un incremento di percentuale, al saggio degli interessi corrispettivi.

Ad esempio, se gli interessi corrispettivi sono determinati nella misura x%, il ritardato

pagamento determinerà una maggiorazione di y punti percentuali e gli interessi

moratori saranno dunque pari a (y+x)%. Ciò, ovviamente, non vuol dire che la banca

continuerà a percepire, nonostante la chiusura del rapporto, sia gli interessi

corrispettivi nella misura del x%, sia quelli moratori nella misura del y%. A

prescindere dalla circostanza che la base del criterio di calcolo è costituita dal tasso

dell'interesse corrispettivo, l'istituto mutuante percepirà un saggio complessivo pari a

(y+x)%, ma soltanto a titolo di interessi moratori.

Questa prassi contrattuale nasce da un'esigenza pratica, ossia quella di adattare il

tasso degli interessi moratori alla complessità dei criteri di calcolo e all'andamento

del saggio degli interessi corrispettivi, in modo da evitare che quelli di mora risultino

inferiori. Infatti, se di regola lo spread connesso al passaggio del rapporto a

sofferenza è rappresentato da un semplice valore numerico, la base di calcolo, ossia

il saggio che era dovuto a titolo corrispettivo in costanza di rapporto, si calcola

invece mediante formule matematiche, talvolta anche complesse, specialmente nei

rapporti a tasso variabile.

Orbene, quando il tasso degli interessi moratori contrattualmente è determinato

maggiorando il saggio degli interessi corrispettivi di un certo numero di punti

percentuale, solo impropriamente è possibile parlare di "cumulo". In realtà, non si

tratta della contemporanea percezione di due diverse specie di interessi. La banca

percepisce soltanto gli interessi moratori, il cui tasso è, però, determinato tramite la

sommatoria innanzi descritta. Quindi, è al valore complessivo e non ai soli punti

percentuali aggiuntivi che occorre aver riguardo al fine di individuare il tasso di

interesse moratorio effettivamente applicato e percepito.

3.3. La seconda dimensione nella quale si pone un problema di "cumulo" di interessi

corrispettivi e moratori è, in una certa misura, collegata alla prima.

Nei rapporti bancari, soprattutto nei mutui con rata di ammortamento, si suole

distinguere - secondo il gergo bancario - la fase dell'incaglio", in cui i pagamenti del

cliente divengono problematici, ma la situazione non si è deteriorata a tal punto da

dover formulare un giudizio prognostico negativo circa le sue capacità di ripianare la

propria esposizione debitoria, dal "passaggio a sofferenza", che si verifica nel

momento in cui la banca, esercitando il potere di recesso unilaterale attribuitole dal

contratto, determina la "chiusura" del rapporto, con il conseguente obbligo per il

cliente di restituire tutte le somme mutuate e non ancora corrisposte, con decadenza

dal beneficio del termine (art. 1186 c.c.).

Nella fase dell'incaglio" è frequente - anzi doveroso, alla stregua di un criterio di

comportamento delle parti secondo correttezza e buona fede - che intervengano

solleciti di pagamento non accompagnati dall'esercizio del diritto di recesso. Questi,

pur non determinando la chiusura del rapporto, sono efficaci nel costituire in mora il

debitore ai sensi dell'art. 1219 c.c. e, quindi, comportano il decorso degli interessi

moratori. Infatti, gli effetti previsti dall'art. 1224 c.c. si producono dal giorno della

mora del debitore e, trattandosi di obbligazioni pecuniarie, da quel momento il

creditore ha diritto a percepire gli interessi moratori senza dover fornire la prova di

aver sofferto alcun danno.

Orbene, considerando la tecnica di redazione dei contratti bancari illustrata nel

paragrafo precedente, ciò che accade in concreto è che il cliente, dal giorno in cui

diviene moroso, è tenuto a corrispondere anche lo spread che costituisce la

maggiorazione convenzionale degli interessi moratori.

Ora, se il rapporto fosse definitivamente "chiuso" (id est, se la banca avesse

esercitato il potere di recesso unilaterale), non vi sarebbe nessuna incertezza nel

qualificare l'intero interesse percepito come avente natura moratoria.

Nella misura in cui, invece, il rapporto è ancora "aperto", vi è la sensazione che il

cliente continui a corrispondere l'interesse corrispettivo quale remunerazione per il

godimento del denaro ed inoltre l'interesse moratorio per il ritardato adempimento. In

questa prospettiva, l'interesse di mora (costituito dal solo spread) sembra cumularsi

con l'interesse corrispettivo, conservando ciascuno dei due la propria individualità,

funzione giuridica e autonomia causale.

A chi ravvisa, in questa evenienza, un vero e proprio "cumulo" si deve però

controbattere che l'art. 1224 c.c. prevede espressamente che dal giorno della mora

sono dovuti gli interessi moratori nella stessa misura degli interessi previsti "prima

della mora", ossia a titolo corrispettivo.

Ne deriva, dunque, che pure in questa ipotesi non si determina alcun "cumulo"

effettivo. Gli interessi corrisposti dal cliente moroso sono tutti di natura moratoria, sia

per quel che concerne la maggiorazione prevista dal contratto nel caso di ritardato

pagamento, sia per la parte corrispondente, nell'ammontare, agli interessi

corrispettivi previsti "prima della mora" ma che, per effetto di quest'ultima, ha

cambiato natura, così come testualmente disposto dall'art. 1224 c.c..

In conclusione, quello del "cumulo" degli interessi corrispettivi e moratori nei rapporti

bancari è, in realtà, un falso problema.

Una volta costituito in mora, gli interessi che il cliente è tenuto a corrispondere hanno

tutti natura moratoria, a prescindere dai criteri negoziali di determinazione del tasso

convenzionale di mora. Ed è così sia nel caso il cui il rapporto sia stato

definitivamente "chiuso", sia quando il rapporto è ancora pendente.

Del resto, l'art. 1383 c.c., in tema di clausola penale (cui, come abbiamo visto, può

essere assimilata la determinazione convenzionale degli interessi di mora), prevede

che "il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale,

se questa non è stata stipulata per il semplice ritardo". Pertanto, non vi è dubbio che

gli interessi corrispettivi non possano essere richiesti insieme a quelli moratori. Salvo

a voler considerare che gli interessi di mora corrispondano al solo spread nel caso di

ritardo e siano, invece, pari alla somma dello spread con il saggio degli interessi

corrispettivi in caso di "chiusura" del rapporto; soluzione interpretativa, quest'ultima,

malamente collimante con il tenore testuale dell'art. 1224 c.c. e con la formulazione

delle clausole della maggior parte dei contratti bancari.

4. In conclusione, è possibile affermare il seguente principio di diritto:

"Nei rapporti bancari, gli interessi corrispettivi e quelli moratori

contrattualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed

antitetici, giacchè i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i

secondi hanno natura di clausola penale, in quanto costituiscono una

determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento. Essi,

pertanto, non si possono fra loro cumulare. Tuttavia, qualora il contratto

preveda che il tasso degli interessi moratori sia determinato sommando al

saggio degli interessi corrispettivi previsti dal rapporto un certo numero di

punti percentuale, è al valore complessivo risultante da tale somma, non ai

soli punti percentuali aggiuntivi, che occorre aver riguardo al fine di

individuare il tasso degli interessi moratori effettivamente applicati".

5. Il Tribunale ha, invece, escluso in radice che potessero cumularsi interessi

corrispettivi e moratori, senza verificare esattamente cosa si dovesse intendere, nel

caso in esame, per "cumulo". Pertanto, la sentenza deve essere cassata affinchè il

giudice di rinvio, conformandosi al principio sopra formulato, individui con esattezza

il saggio di interesse moratorio convenzionale previsto dal contratto.

6.1 Giova, infatti, rammentare che giurisprudenza di questa Corte non ha mai

dubitato dell'applicabilità del "tasso soglia" anche alla pattuizione degli interessi

moratori (Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 5598 del 06/03/2017, Rv. 643977; Sez. 3,

Sentenza n. 9532 del 22/04/2010, Rv. 612455; Sez. 3, Sentenza n. 5324 del

04/04/2003, Rv. 561894; Sez. 1, Sentenza n. 5286 del 22/04/2000, Rv. 535967) e

che in senso analogo, peraltro, si è pronunciata anche la Corte costituzionale (Corte

Cost., Sentenza n. 29 del 2002).

Più di recente, prendendo atto della circostanza che molti giudici di merito

continuano ad opinare diversamente, la Cassazione ha sottoposto ad ampia e

approfondita verifica le ragioni del proprio convincimento, pervenendo al risultato

finale di confermarne la perdurante validità (Sez. 3, Ordinanza n. 27442 del

30/10/2018, Rv. 651333).

6.2 Oltretutto, il principale argomento speso dall'opinione opposta, secondo cui alla

configurazione dell'usura c.d. "oggettiva" o "presunta" in relazione agli interessi di

mora sarebbe d'ostacolo la circostanza che degli stessi manca la rilevazione del

T.E.G.M. ("tasso effettivo globale medio" praticato, nel periodo di riferimento, per la

tipologia di contratto), non risulta decisivo. In termini analoghi, infatti, si poneva la

questione della "commissione di massimo scoperto" (CMS), anch'essa non inclusa

nella rilevazione del T.E.G.M., alla stregua delle istruzioni della Banca d'Italia.

Nondimeno, recentemente le Sezioni unite (Sez. U, Sentenza n. 16303 del

20/06/2018, Rv. 649294) hanno ritenuto che, ai fini della verifica del superamento del

"tasso soglia" dell'usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della L.

n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale

d'interesse praticato in concreto e della CMS eventualmente applicata,

rispettivamente con il tasso soglia e con la "CMS soglia", calcolata aumentando della

metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai

sensi della predetta L. n. 108, art. 2, comma 1, compensandosi, poi, l'importo della

eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS

rientrante nella soglia, con il "margine" degli interessi eventualmente residuo, pari

alla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli

interessi in concreto praticati.

Il medesimo ragionamento può essere agevolmente traslato agli interessi moratori,

giacchè la Banca d'Italia, pur non includendo la media degli interessi di mora nel

calcolo del T.E.G.M., ne ha fatto una rilevazione separata, individuando una

maggiorazione media, in caso di mora, di 2,1 punti percentuali. Per individuare la

soglia usuraria degli interessi di mora sarà dunque sufficiente sommare al "tasso

soglia" degli interessi corrispettivi il valore medio degli interessi di mora, maggiorato

nella misura prevista dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4.

6.3 Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:

"Nei rapporti bancari, anche gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli

corrispettivi, sono soggetti all'applicazione della normativa antiusura, con la

conseguenza che, laddove la loro misura oltrepassi il c.d. "tasso soglia"

previsto dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, si configura la cosiddetta usura

c.d. "oggettiva" che determina la nullità della clausola ai sensi dell'art. 1815

c.c., comma 2. Non è di ostacolo la circostanza che le istruzioni della Banca

d'Italia non prevedano l'inclusione degli interessi di mora nella rilevazione del

T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio), che costituisce la base sulla quale

determinare il "tasso soglia". Infatti, poichè la Banca d'Italia provvede

comunque alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora

(solitamente costituiti da alcuni punti percentuali da aggiungere al tasso

corrispettivo), è possibile individuare il "tasso soglia di mora" del semestre di

riferimento, applicando a tale valore la maggiorazione prevista dalla L. n. 108

del 1996, art. 2, comma 4. Tuttavia, resta fermo che, dovendosi procedere ad

una valutazione unitaria del saggio di interessi concretamente applicato -

senza poter più distinguere, una volta che il cliente è stato costituito in mora,

la "parte" corrispettiva da quella moratoria -, al fine di stabilire la misura oltre

la quale si configura l'usura oggettiva, il "tasso soglia di mora" deve essere

sommato al "tasso soglia" ordinario (analogamente a quanto previsto dalla

sentenza delle Sezioni unite n. 16303 del 2018, in tema di commissione di

massimo scoperto)".

6.4 L'invalidità della pattuizione, comminata dall'art. 1815 c.c., comma 2, si

sovrappone al rimedio della reductio ad aequitatem, comunque possibile per gli

interessi convenzionali di mora. Gli stessi, infatti, assolvono alla funzione di una

clausola penale (art. 1382 c.c.), in quanto consistono nella liquidazione preventiva e

forfettaria del danno da ritardato pagamento.

La "duplicazione" di strumenti di tutela dell'obbligato non è priva di rilievi pratici, in

quanto i presupposti per l'applicazione dell'art. 1815 c.c., comma 2, da un lato, e

dell'art. 1384 c.c., dall'altro, sono differenti.

La nullità comminata dall'art. 1815 c.c., comma 2, presuppone, infatti, la violazione

formale del "tasso soglia", sicchè la clausola contrattuale è valida o è invalida anche

per un solo centesimo di punto percentuale in più o in meno. L'art. 1384 c.c., invece,

consente al giudice di intervenire tutte le volte in cui ritiene l'eccessività del saggio di

mora convenuto fra le parti, a prescindere dalla circostanza che oltrepassi o sia

attestato al di sotto del "tasso soglia".

Differenti sono pure gli effetti, poichè l'art. 1815 c.c., comma 2, prevede la totale

caducazione della pattuizione degli interessi oltre soglia ("se sono convenuti

interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi"), mentre, nel caso di

reductio ad aequitatem, l'obbligazione di corrispondere gli interessi permane, anche

se ridotta dal giudice nella misura ritenuta equa.

6.5 Va quindi affermato il seguente principio di diritto:

"Per gli interessi convenzionali di mora, che hanno natura di clausola penale

in quanto consistono nella liquidazione preventiva e forfettaria del danno da

ritardato pagamento, trovano contemporanea applicazione l'art. 1815 c.c.,

comma 2, che prevede la nullità della pattuizione che oltrepassi il "tasso

soglia" che determina la presunzione assoluta di usurarietà, ai sensi della L. n.

108 del 1996, art. 2, e l'art. 1384 c.c., secondo cui il giudice può ridurre ad

equità la penale il cui ammontare sia manifestamente eccessivo. Sono infatti

diversi i presupposti e gli effetti, giacchè nel secondo caso la valutazione di

usurarietà è rimessa all'apprezzamento del giudice (che solo in via indiretta ed

eventuale può prendere a parametro di riferimento il T.E.G.M.) e, comunque,

l'obbligazione di corrispondere gli interessi permane, sia pur nella minor

misura ritenuta equa".

7.1 La seconda questione prospettata dal ricorrente concerne la validità e gli effetti

della clausola contrattuale c.d. "di salvaguardia". Si tratta di una clausola

particolarmente diffusa nella contrattazione bancaria, a partire dal 1996, secondo

cui, quale che sia la fluttuazione del saggio di interesse convenzionalmente pattuito,

esso non potrà mai superare il "tasso soglia", che ne costituisce quindi il tetto

massimo.

Il Tribunale ha attribuito rilevanza dirimente alla presenza di tale clausola,

osservando che "anche il tasso di mora, di per sè considerato, di volta in volta

applicato ai singoli inadempimenti, si è sempre automaticamente mantenuto, nel

corso del rapporto, nei limiti del tasso soglia legalmente previsto, in conformità a

quanto pattuito dalle parti ("la previsione della c. d. clausola di salvaguardia evita

l'automatico superamento del tasso soglia")" (pag. 5).

Tale autonoma ratio decidendi costituisce oggetto di specifica impugnazione da parte

del ricorrente, il quale osserva che l'inserimento della "clausola di salvaguardia" nel

contratto di mutuo non esclude, di per sè, che effettivamente possano essere stati

percepiti tassi usurari.

7.2 Il motivo è fondato nei termini che seguono.

La clausola c.d. "di salvaguardia" giova a garantire che, pur in presenza di un saggio

di interesse variabile o modificabile unilateralmente dalla banca, la sua fluttuazione

non oltrepassi mai il limite stabilito dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4.

Dal punto di vista pratico tale clausola opera in favore della banca, piuttosto che del

cliente. Infatti, ai sensi dell'art. 1815 c.c., comma 2, "se sono convenuti interessi

usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi". La clausola "di

salvaguardia", dunque, assicurando che gli interessi non oltrepassino mai la soglia

dell'usura c.d. "oggettiva", previene il rischio che il tasso convenzionale sia

dichiarato nullo e che nessun interesse sia dovuto alla banca.

Nondimeno, la clausola non presenta profili di contrarietà a norme imperative. Anzi,

al contrario, essa è volta ad assicurare l'effettiva applicazione del precetto d'ordine

pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari. Sebbene la "clausola di

salvaguardia" ponga le banche al riparo dall'applicazione della "sanzione" prevista

dall'art. 1815 c.c., comma 2, per il caso di pattuizione di interessi usurari (nessun

interesse è dovuto), la stessa non ha carattere elusivo, poichè il principio d'ordine

pubblico che governa la materia è costituito dal divieto di praticare interessi usurari,

non dalla sanzione che consegue alla violazione di tale divieto.

Non vale in contrario quanto ritenuto in altra occasione da questa Corte (Sez. 1,

Sentenza n. 12965 del 22/06/2016, Rv. 640109), poichè quella pronuncia ha ad

oggetto una ben diversa clausola, che prevedeva l'applicazione del principio solve et

repete agli interessi che eventualmente fossero successivamente risultati usurari.

7.3 Dunque, il percepimento di interessi usurari è vietato dalla legge e la relativa

pattuizione è nulla. Con la "clausola di salvaguardia" la banca si obbliga

contrattualmente ad assicurare che, per tutta la durata del rapporto, non vengano

mai applicati interessi che oltrepassino il "tasso soglia".

La "contrattualizzazione" di quello che è un divieto di legge non è priva di

conseguenze sul piano del riparto dell'onere della prova. Infatti, se l'osservanza del

"tasso soglia" diviene oggetto di una specifica obbligazione contrattuale, alla logica

della violazione della norma imperativa si sovrappone quella dell'inadempimento

contrattuale, con conseguente traslazione dell'onere della prova in capo all'obbligato,

ossia alla banca.

7.4 Il Tribunale, invece, si è attestato sulla posizione della valenza "dirimente" della

"clausola di salvaguardia" in sè considerata, ritenendo - in sostanza - che

l'inserimento di tale clausola nel regolamento contrattuale fosse sufficiente ad

escludere in radice l'usurarietà degli interessi percepiti dalla banca.

Non ha pregio neppure l'osservazione - riferita dalla controricorrente - secondo cui il

consulente d'ufficio non avrebbe rilevato lo sforamento del tasso soglia, neanche

con riferimento al periodo di applicazione del tasso di mora. Si tratta, infatti, di

conclusioni del c.t.u. che non sono state mai validate dal Tribunale, che ha basato la

propria decisione unicamente sulla presenza, nel contratto di mutuo, della "clausola

di salvaguardia".

8. Il giudice del rinvio dovrà quindi uniformarsi, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2,

al seguente principio di diritto:

"In tema di rapporti bancari, l'inserimento di una clausola "di salvaguardia", in

forza della quale l'eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale

dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del c.d. "tasso soglia"

antiusura previsto dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, trasforma il divieto

legale di pattuire interessi usurari nell'oggetto di una specifica obbligazione

contrattuale a carico della banca, consistente nell'impegno di non applicare

mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella

massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione,

spetterà alla banca, secondo le regole della responsabilità ex contractu,

l'onere della prova di aver regolarmente adempiuto all'impegno assunto".

9. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve

essere cassata con rinvio.

Poichè il ricorso è stato proposto ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c., comma 3, il rinvio va

disposto alla Corte d'appello territorialmente competente.

Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese relative al

presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza

impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Milano, cui demanda di provvedere

anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

 
 
 

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