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Prestiti, Arbitro bancario: “Con estinzione anticipata, obbligo di restituire costi”

  • Immagine del redattore: riccardo girolami
    riccardo girolami
  • 12 feb 2020
  • Tempo di lettura: 21 min

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COLLEGIO DI COORDINAMENTO

composto dai signori:

(CO) LAPERTOSA Presidente

(CO) DE CAROLIS Membro designato dalla Banca d'Italia

(CO) CARRIERO Membro designato dalla Banca d'Italia

(CO) SERIO Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(CO) BARGELLI Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore Flavio Lapertosa

Seduta del 11/12/2019

FATTO

Il ricorrente, esperita infruttuosamente la fase del reclamo, ha adito il Collegio di Palermo

per chiedere il rimborso della somma di euro 945,24 a titolo di oneri versati e non maturati

in relazione a un finanziamento mediante cessione del quinto della pensione, stipulato in

data 8.11.2013 ed estinto anticipatamente il 5 aprile del 2018.

L’intermediario ha contestato la fondatezza della pretesa, deducendo che le commissioni

di natura continuativa, ed esse soltanto, sono state già interamente rimborsate al cliente

secondo il conteggio estintivo.

Il Collegio di Palermo, con ordinanza in data 16.9.2019, ha rimesso al Collegio di

Coordinamento la decisione del ricorso in considerazione della sopravvenuta pronuncia in

data 11.9.2019 della Corte di Giustizia Europea (CGUE), che sembra avere enunciato un

principio di diritto diverso e incompatibile con il consolidato orientamento dell’Arbitro

bancario circa la rimborsabilità dei costi non continuativi (c.d. up front), per ciò stesso

generando una questione di particolare importanza foriera di possibili orientamenti difformi

dei Collegi territoriali.

Il Collegio rimettente ha richiamato il principio di diritto costantemente applicato in materia

dall’Arbitro bancario (a partire dalla nota decisione n. 6167/2014 del Collegio di

Coordinamento, poi ribadita nelle decisioni nn. 10003/2016, 10017/2016 e 10035/2016),

secondo cui:

1) “nella formulazione dei contratti, gli intermediari sono tenuti ad esporre in modo

chiaro e agevolmente comprensibile quali oneri e costi siano imputabili a

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prestazioni concernenti la fase delle trattative e della formazione del contratto

(costi up front, non ripetibili) e quali oneri e costi maturino nel corso dell’intero

svolgimento del rapporto negoziale (costi recurring rimborsabili pro quota); 2) in

assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra costi up front e recurring anche

in applicazione dell’art.1370 c.c. e, più in particolare, dell’art.35 comma 2

d.lgs.n.206 del 2005 (secondo cui, in caso di dubbio sull’interpretazione di una

clausola prevale quella più favorevole al consumatore) l’intero importo di ciascuna

delle suddette voci deve essere preso in considerazione al fine della individuazione

della quota parte da rimborsare; 3) l’importo da rimborsare deve essere

determinato, com’è noto, secondo un criterio proporzionale, tale per cui l’importo di

ciascuna delle suddette voci viene moltiplicato per la percentuale di finanziamento

estinto anticipatamente, risultante (se le rate sono di eguale importo) dal rapporto

fra il numero complessivo delle rate e il numero delle rate residue; 4) altri metodi

alternativi di computo non possono considerarsi conformi alla disciplina vigente”.

Ciò premesso, il Collegio di Palermo ha rilevato che la CGUE, con la citata sentenza resa

nella causa C-383/18 in sede di rinvio pregiudiziale di interpretazione, ha invece enunciato

il seguente principio di diritto: “L’art.16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE (del

Parlamento e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai

consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio), deve essere interpretato

nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di

rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”.

Da qui la rilevanza della pronuncia della CGUE per la risoluzione del caso di specie, in

quanto il ricorrente ha chiesto anche il rimborso di oneri up front (in particolare delle spese

di istruttoria e delle commissioni dovute all’agente in attività finanziaria) che secondo il

ricordato orientamento finora seguito dall’ABF non sarebbero retrocedibili in caso di

estinzione anticipata del finanziamento.

La questione posta dalla evidente diversità del principio di rimborsabilità dei costi up front

affermato dalla Corte di Giustizia Europea assumerebbe particolare e concreto rilievo in

ragione della natura dichiarativa generalmente riconosciuta alle sentenze interpretative

emesse in sede di rinvio pregiudiziale rispetto ai rapporti giuridici anteriormente insorti,

come quello in controversia (CG, 2 settembre 1988, in causa C-309/85 , Barra c. Stato

Belga, in Racc., 1988, 355) e con effetto vincolante in tutti i casi analoghi (CG, 6 ottobre

1982, in causa C-283/81, Cilfit srl e Lanificio di Gavardo spa c Ministero della Sanità, in

racc., 1982, 3415). Con la conseguenza che, ove detta sentenza si ritenga applicabile al

caso di specie, il Collegio di Coordinamento sarebbe chiamato anche a stabilire se gli

oneri commissionali, up front e recurring, siano rimborsabili secondo le modalità fin qui

seguite, e cioè secondo il criterio pro rata temporis, ovvero secondo altra e diversa

modalità.

In definitiva, il quesito posto al Collegio di Coordinamento investe gli aspetti salienti delle

conseguenze applicative determinate dalla decisione della CGUE e riguarda

essenzialmente la rimborsabilità (anche) dei costi up front e, più in generale, il criterio di

rimborsabilità degli oneri commissionali, up front e recurring, nei casi di estinzione

anticipata del finanziamento da parte di un consumatore.

Nella riunione dell’11.12.2019 la controversia è stata posta in deliberazione dal Collegio di

Coordinamento, che ha emesso all’ unanimità la decisione che segue.

DIRITTO

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La risposta ai quesiti posti dal Collegio rimettente esige un puntuale richiamo alla vicenda

processuale che ha coinvolto la Corte di Giustizia Europea con la ormai nota “sentenza

Lexitor” (dalla denominazione della società di diritto polacco che, resasi cessionaria dei

crediti vantati da consumatori nei confronti di tre Banche alle quali avevano corrisposto i

costi di finanziamenti anticipatamente estinti, comprensivi di commissioni indipendenti

dalla durata dei contratti di credito, aveva chiesto con separate ingiunzioni, impugnate e

poi riunite, la retrocessione di una parte delle commissioni versate).

Con la domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art.267 TFUE il Giudice del

Tribunale di Lublino ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di fornire la esatta

interpretazione dell’art.16, par. 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e del

Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori, che ha

abrogato la direttiva 87/102 CEE del Consiglio e, in particolare, di chiarire se tale

disposizione, nel prevedere che “Il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi

momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal

caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli

interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, includa o meno tutti costi del

credito, compresi quelli non dipendenti dalla durata del rapporto.

La risposta della Corte è stata sul punto netta e chiara: l’art.16 della Direttiva deve essere

interpretato nel senso che “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del

credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”.

Che tale enunciato sia riferibile anche ai costi up front non sembra perciò revocabile in

dubbio, anche perché la CGUE vi è pervenuta rispondendo a un preciso quesito del

Giudice del rinvio il quale, prendendo atto di orientamenti interpretativi divergenti dei

Giudici polacchi, ha chiesto per l’appunto di chiarire se l’art.16 della direttiva debba essere

interpretato nel senso che il consumatore, “in caso di adempimento anticipato degli

obblighi che gli derivano dal contratto di credito, ha diritto ad una riduzione del costo totale

del credito, compresi i costi il cui importo non dipende dalla durata del contratto di credito”.

Per meglio comprendere (interpretare) la sentenza “Lexitor”, è però opportuno richiamare

i fondamentali passaggi motivazionali della pronuncia.

Nell’inquadrare il rilievo del quesito formulato in sede di rinvio pregiudiziale, la CGUE ha

rammentato che la legge polacca 12.5.2011 sul credito al consumo, che ha recepito la

direttiva 2008/48, intende (all’art.5, punto 6) il costo totale del credito come comprensivo

di tutti i costi che il consumatore è tenuto contrattualmente a pagare, includendovi in

particolare “gli interessi, le spese, le commissioni, le imposte e anche i costi relativi ai

servizi accessori, segnatamente premi assicurativi, se il loro pagamento è obbligatorio per

ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni offerte”, ad eccezione soltanto delle

“spese notarili che sono a carico del consumatore”; ed ha altresì rammentato che l’art.49,

paragrafo 1, di quella legge nazionale dispone che in caso di rimborso dell’intero credito

prima della data concordata nel contratto, “il costo totale del credito è ridotto nella misura

dei costi corrispondenti al periodo di durata residua del contratto, anche qualora il

consumatore li abbia sostenuti prima di tale rimborso”.

Ciò premesso, la Corte, dopo avere ulteriormente rammentato il dettato dell’art.3, lettera g,

della Direttiva, che indica a sua volta la nozione di costo totale del credito comprendendovi

(così come recepito dalla legge nazionale polacca) tutti i costi, inclusi gli interessi, le

imposte e le commissioni e le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al

contratto di credito (ed escluse soltanto le spese notarili) “senza alcuna limitazione relativa

alla durata del contratto di credito”, ha messo a fuoco il dettato dell’art.16, par.1, della

Direttiva, osservando che la menzione della restante durata del contratto potrebbe essere

interpretata tanto nel senso che i costi interessati dalla riduzione del costo totale del

credito siano limitati a quelli che dipendono oggettivamente dalla durata del contratto (cioè

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ai soli costi recurring, come finora ha ritenuto la giurisprudenza dell’ABF, con il conforto

della normativa secondaria della Banca d’Italia: v. Le Disposizioni sulla trasparenza e le

Indicazioni della Vigilanza del 2009, 2011 e 2018) quanto nel senso che essa indichi

semplicemente il metodo di calcolo utilizzabile per procedere a tale riduzione, consistente

nel prendere in considerazione la “totalità” dei costi sopportati dal consumatore (cioè tutti i

costi, come sopra menzionati, compresi dunque quelli up front) e “nel ridurne poi l’importo

in proporzione alla durata residua del contratto”.

Come detto, la scelta della CGUE si è orientata in quest’ultima direzione in forza di una

serie di considerazioni, non suscettibili di sindacato in questa sede, basate sul criterio

storico (analizzato attraverso il raffronto con la meno precisa e meno ampia previsione del

diritto alla riduzione del costo del credito contenuta nell’abrogato art. 8 della Direttiva

87/102) e teleologico (ravvisato nello scopo della Direttiva 2008/48 di garantire una

protezione elevata del consumatore e l’equilibrio tra le parti contrattuali).

La Corte ha bensì preso atto che le diverse versioni linguistiche dell’art.16, par.1 della

Direttiva 2008/48, adottate nelle leggi nazionali dei Paesi della Comunità Europea

sembrerebbero in taluni casi suggerire (come nella versione italiana) una lettura della

Direttiva in riferimento ai soli costi oggettivamente dipendenti dalla durata residua del

contratto; tuttavia, esercitando il suo ruolo nomofilattico volto all’armonizzazione della

disciplina in materia nei Paesi aderenti, ha richiamato per l’appunto la necessità di

interpretare la disposizione non soltanto in base al suo tenore letterale, ma anche alla luce

del suo contesto e degli obiettivi perseguiti. Si è privilegiata perciò una interpretazione

“logica” della disposizione di tipo estensivo, nell’intento di assicurare al consumatore, parte

debole del rapporto asimmetrico, una elevata ed effettiva tutela nel quadro di un apparato

contrattuale predisposto unilateralmente dalla banca e nella valorizzazione dell’effetto

compensativo contestualmente a questa garantito dal paragrafo 2 dell’art.16 della Direttiva

con la previsione del diritto a un indennizzo (suscettibile di eventuali incrementi in via

normativa) per gli eventuali costi collegati al rimborso anticipato del finanziamento (c.d.

penale di estinzione), nonché in considerazione della opportunità per la banca di

reinvestire speculativamente la provvista percepita in sede di estinzione e di includere

nella fatturazione dei costi un certo margine di profitto. E in quest’operazione

interpretativa, sicuramente non disancorata dall’analisi economica del diritto, non si è

trascurato di valutare i rischi derivanti da una diversa interpretazione strettamente

aderente al tenore letterale, rischi rappresentati dalla prevedibile tendenza delle banche a

confezionare il testo contrattuale attraverso la minimizzazione dei costi ricorrenti e la

imposizione di pagamenti più elevati per le attività preliminari, stante la oggettiva difficoltà

per un terzo decisore di distinguerle dai costi correlabili alla durata del contratto. Il che,

pervero, ha trovato reale riscontro nella pluriennale esperienza giurisprudenziale dell’ABF,

che molto spesso ha dovuto districarsi tra gravi opacità descrittive (se non addirittura tra

casi di duplicazione di costi o di dubbia sussistenza di una concreta causa obligandi),

risolvendole per lo più con applicazione del criterio interpretativo per il quale nella

incertezza, tante volte riscontrata, di distinguere sul piano ontologico le attività definite

come up front da quelle definite come recurring, tutte debbano qualificarsi nel senso più

favorevole al consumatore aderente, rendendole perciò ripetibili.

In conclusione, per effetto della sentenza “Lexitor”, l’art.16 della Direttiva deve interpretarsi

nel senso che tutti i costi del credito, correlati o non alla durata residua del contratto, ad

eccezione delle spese del notaio (la cui scelta compete al consumatore), sono riducibili nel

caso di estinzione anticipata del finanziamento, sicché ogni diversa interpretazione della

interpretazione della Corte appare interdetta.

Poiché le sentenze interpretative della CGUE, per unanime riconoscimento (v., ex multis,

Cass. n.2468/2016; Cass.,5381/2017), hanno natura dichiarativa e di conseguenza hanno

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valore vincolante e retroattivo per il Giudice nazionale (non solo per quello del rinvio, ma

anche per tutti quelli dei Paesi membri della Unione, e pertanto anche per gli Arbitri

chiamati ad applicare le norme di diritto), non può dubitarsi che detta interpretazione sia

ineludibile anche nel caso di specie, sottoposto com’è sia all’art.121, comma 1 lettera e)

del TUB, che indica la nozione di costo totale del credito in piena aderenza all’art.3 della

Direttiva, sia all’art.125 sexies TUB che, dal punto di vista letterale, appare a sua volta

fedelmente riproduttivo dell’art.16 par.1 della stessa Direttiva.

Infatti l’art.125 sexies, secondo cui in caso di estinzione anticipata del finanziamento il

consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, “pari” all’importo degli

interessi e “dei costi dovuti per la vita residua del contratto”, non sembra affatto diverso

rispetto alla disposizione ora citata della Direttiva, secondo cui il consumatore ha diritto a

una riduzione del costo totale del credito, che “comprende gli interessi e i costi dovuti per

la restante durata del contratto”, giacché non può ragionevolmente attribuirsi alcun

significativo rilievo distintivo alla differenza lessicale tra la riduzione del costo del credito

che è “pari” a tutte le voci che compongono il costo totale del credito e la riduzione del

costo totale del credito che “comprende” esattamente le medesime voci.

Come dire: sia la Direttiva sia la norma nazionale italiana di recepimento (a sua volta

sovrapponibile al testo dell’art.5 punto 6 della legge polacca relativa al credito ai

consumatori, laddove si adopera la locuzione “nella misura dei costi corrispondenti al

periodo di durata residua del contratto”), utilizzano una formula espressiva che, sul piano

strettamente letterale, sembrerebbe suggerire il collegamento del diritto alla riduzione dei

costi in riferimento soltanto a quelli dipendenti dalla restante durata del rapporto

contrattuale (commissioni e oneri recurring) e che, invece, per le stringenti ragioni

enunciate dalla CGUE, deve estendersi ai costi up front, che ne sono indipendenti.

Ne discende che l’art.125 sexies TUB, integrando la esatta e completa attuazione dell’art.6

della Direttiva, come questa va letto e applicato nel senso indicato dalla CGUE, come se

dicesse cioè (anzi, come se avesse detto fin dalla sua origine) che il diritto alla riduzione

del costo del credito in caso di anticipata estinzione del finanziamento coinvolge anche i

costi up front, al di là di ogni differenza nominalistica o sostanziale, pur esistente, con gli

altri costi. Il che, a ben vedere, costituisce naturale concretizzazione dell’obiettivo

perseguito dalla Direttiva di assicurare una elevata protezione del consumatore, giacché

non si capirebbe altrimenti, al di là delle esigenze di trasparenza, in cosa consista tale

speciale tutela a fronte di regole generali che nei rapporti di durata consentirebbero

comunque al recedente di non corrispondere i compensi per prestazioni non scadute (art.

1373, comma 2, c.c.).

Se tali riflessioni sono corrette, risulta priva di giuridico fondamento l’opinione di chi

sostiene la inapplicabilità della Direttiva ai ricorsi riconducibili all’art.125 sexies TUB, per la

semplice ragione che la stessa, lungi dal risultare inattuata o parzialmente recepita, è stata

compiutamente trasposta nell’ordinamento interno.

Non si versa in definitiva nel caso di scuola di una norma nazionale (l’art.125 sexies TUB)

disapplicabile dal giudicante in parte qua (per quanto attiene cioè alla retrocedibilità dei

costi up front) per incompatibilità con il diritto comunitario (l’art.16 della direttiva, secondo

la interpretazione datane dalla CGUE) e di conseguente limitazione del diritto dei

consumatori a invocare l’applicazione di una direttiva autoesecutiva (relativamente alla

retrocessione dei costi up front) nei soli rapporti verticali (con conseguente azionabilità

limitata di una pretesa risarcitoria verso lo Stato per parziale attuazione della Direttiva),

trattandosi invece, giova ancora ribadirlo, di una norma nazionale perfettamente recettiva

della Direttiva stessa e perciò operante nei rapporti orizzontali di prestito tra clienti e

banche.

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Né sarebbe condivisibile l’obiezione secondo la quale la inapplicabilità della Direttiva

deriverebbe, per altro verso, dalla mancata indicazione, nel suo art.16 (e, a valle,

nell’art.125 sexies TUB), del criterio di rimborsabilità dei costi up front, la cui diversità

ontologica rispetto ai costi recurring osterebbe in modo radicale alla comune applicazione

del criterio proporzionale puro (pro rata temporis) generalmente applicato rispetto alle

attività di carattere continuativo.

L’obiezione è seria, ma non insuperabile.

Innanzitutto va rilevato il vizio logico insito di una tesi che, ponendosi in un’ottica (per così

dire) “antistorica”, sembra trascurare un ineliminabile dato di realtà, rappresentato dalla

incombente esistenza di una norma interna che, alla luce della interpretazione datane

dalla CGUE con la sentenza Lexitor, deve intendersi oramai funzionale alla ripetibilità di

“tutti i costi” facenti parte della nozione di costo totale del credito, in caso di estinzione

anticipata del finanziamento. Anche perché il primato del diritto europeo, che è sancito

nell’art.11 della Costituzione, collide frontalmente con la idea, alquanto singolare, secondo

la quale la sentenza Lexitor non sarebbe applicabile in Italia per il fatto di essere un

Paese dotato di un maturo e dettagliato apparato normativo (secondario) e

giurisprudenziale orientato alla diversificazione dei costi ripetibili: quasi che le sentenze

interpretative della CGUE, anzicché essere destinate sempre alla armonizzazione delle

discipline di tutti i Paesi aderenti, potessero ritenersi selettivamente dedicate solo a taluni

di essi.

Ciò basterebbe per dedurne che la effettiva mancanza di indicazione del criterio di

rimborsabilità dei costi up front, lungi dal configurare un impedimento (oggettivamente

elusivo) all’applicabilità della norma nazionale che ne consente la retrocessione, impone

invece all’interprete il dovere di ricercare all’interno del sistema vigente il criterio idoneo

alla risoluzione del problema. E tanto più lo pone a questo Collegio che, per le note

caratteristiche non giurisdizionali dell’ABF (v. Corte Cost., ord. N.218/2011), da un lato non

può esimersi dal dovere di decidere la controversia e dall’altro non sarebbe neppure

dotato della legittimazione a proporre in via ipotetica ulteriori quesiti pregiudiziali alla Corte

di Giustizia Europea o a sollevare davanti alla Consulta questioni di costituzionalità,

eventualmente ritenute rilevanti per la deliberazione.

Ai fini della soluzione del tema controverso si rendono però necessarie ulteriori notazioni

riguardo al valore del criterio di competenza economica (alias, pro rata temporis), spesso

impropriamente evocato come se fosse l’unico metodo possibile di riduzione di tutti i costi

del finanziamento.

Prima della sentenza Lexitor sarebbe stato agevole arrestarsi al rilievo che i costi recurring

sarebbero stati comunque ripetibili ex lege secondo regole di diritto comune, e cioè anche

prescindendo dalla previsione dell’art.125 sexies TUB. I costi continuativi sono stati infatti

concepiti come il corrispettivo di attività future rispetto alla conclusione del contratto e

pertanto non possono ritenersi dovuti allorquando, in conseguenza della estinzione

anticipata del finanziamento, tali attività non possono avere luogo. Il loro pagamento, per il

sopravvenuto difetto funzionale del sinallagma, sarebbe perciò privo di causa, con la

conseguenza che ove, come accade nella prassi generalizzata di tali rapporti, siano stati

corrisposti dal consumatore in via anticipata, già al momento di conclusione del contratto

(di fatto attraverso la erogazione di un capitale netto inferiore all’importo del prestito per un

differenziale corrispondente al peso delle commissioni), dovrebbero essere calcolati in

riduzione rispetto alla somma dovuta per la estinzione anticipata del finanziamento. Dal

che discende che, in difetto di adempimento dell’obbligo di riduzione dei costi, cui fa

riferimento l’art.125 sexies TUB, il consumatore avrebbe il diritto di chiederne poi la

restituzione secondo la regola dell’indebito oggettivo (puntualmente l’art.49 par.1, della

citata legge polacca sul credito ai consumatori precisa che il costo totale del credito è

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ridotto nella misura dei costi corrispondenti al periodo di durata residua del contratto,

“anche qualora il consumatore li abbia sostenuti prima del rimborso”).

Tutto il sistema di retrocessione dei costi è stato fin qui costruito su questo presupposto, e

il criterio di rimborso lineare, pure valorizzato finora dalla Banca d’Italia, è stato

correttamente considerato il più logico, in assenza di un diverso criterio contrattuale di

ripartizione temporale, per concretizzare il diritto del consumatore alla riduzione dei costi

del finanziamento di natura recurring ai sensi dell’art.125 sexies TUB. Ma va anche

ricordato che la sua applicazione, se intesa come rigida proporzionalità, non è stata mai

considerata alla stregua di un principio assoluto, talché il Collegio di Coordinamento, con

decisione n.10003/2016, aveva già precisato che qualora “le parti, nell’esercizio della loro

autonomia, abbiano previsto costi continuativi (recurring) in misura differenziata per ogni

frazione di tempo della durata complessiva del rapporto, il criterio di recupero degli esborsi

sopportati per remunerare tali costi a seguito della estinzione anticipata del finanziamento,

ancorché non esattamente proporzionale, sarebbe sempre conforme al criterio di

competenza economica (pro rata temporis), dato che il rimborso avverrebbe comunque

secondo la quota dei costi dovuti tempo per tempo maturati”.

Ora, il fatto che a seguito della sentenza Lexitor anche i costi up front (generalmente

“presentati”, con indubbio tasso di convenzionalità, come compensativi di attività

preliminari) sono soggetti a riduzione, non comporta necessariamente che il criterio pro

rata temporis debba essere senz’altro applicato per la retrocessione di tutti i costi del

finanziamento, attraverso una meccanica estensione oggettuale della pregressa

giurisprudenza formatasi rispetto ai costi recurring.

Va innanzitutto precisato che la Corte Europea non ne ha imposto l’applicazione, anche

perché l’art.16 della Direttiva 2008/48/CE “non stabilisce il metodo di calcolo da

utilizzare”, lasciando quindi agli Stati membri “un certo margine di manovra in materia” (in

tal senso. v. le condivisibili conclusioni dell’Avvocato Generale, par.36).

In effetti la CGUE, lungi dal procedere a un’assimilazione concettuale dei costi up front e

dei costi recurring, ed anzi riconoscendone in astratto la diversità (v. in particolare il

paragrafo 34 della sentenza), ha semplicemente valutato l’obiettiva difficoltà in concreto

della loro differenziazione, addivenendo perciò, unitamente a tutte le altre considerazioni

poste a base della interpretazione dell’art.16 della Direttiva, alla conclusione che i costi

sopportati dal consumatore, di qualunque natura siano (a partire dagli interessi), devono

essere ridotti in proporzione alla durata residua del contratto. La Corte, attraverso la

propria opzione ermeneutica dell’art.16 della Direttiva 2008/48/CE, si è dunque limitata a

indicare la necessità che il criterio di riduzione di tutte le componenti del costo totale del

credito sia comunque basato su una regola di proporzionalità.

Del resto, se si rimanesse ancorati all’analisi enfatica della specifica natura dei costi

istantanei, dovrebbe pervenirsi alla conclusione che (non solo il criterio pro rata temporis,

ma) nessun altro criterio di proporzionale riduzione sarebbe loro applicabile in caso di

estinzione anticipata del finanziamento, il che sarebbe contraddittorio sia con la legge che,

a seguito della sentenza della Corte Europea, ne prevede imperativamente la graduale

riducibilità, sia con la prassi contabile degli intermediari che annotano e ammortizzano

quei costi durante lo svolgimento del rapporto.

Dal che discende non tanto che il criterio di competenza economica (alias, pro rata

temporis) sarebbe divenuto incompatibile con la interpretazione dell’art.16 della Direttiva,

quanto che esso, alla luce del mutato quadro “giuridico” (ma non normativo) di riferimento,

è ancora il “più logico” con riguardo ai costi ricorrenti, ma non lo è rispetto ai costi

istantanei, proprio a causa della loro diversa tipologia.

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Arrivati a questo punto, per individuare il criterio di riduzione applicabile ai costi up front, si

rendono necessari alcuni passaggi logico giuridici.

In primo luogo occorre depurare il documento contrattuale dalla inserzione della clausola

che, sia pure in modo implicito, abbia escluso la ripetibilità dei costi riferiti ad attività

preliminari, in quanto contraria a norma imperativa - e perciò affetta da nullità (di

protezione) rilevabile di ufficio ai sensi degli artt. 127 TUB e 1418 c.c. (alla pari di ogni

altra clausola incompatibile con l’ampiezza oggettuale del diritto alla riduzione dei costi).

La clausola nulla deve poi intendersi automaticamente sostituita ex art.1419, comma 2,

c.c. con la norma imperativa che, già al momento di conclusione del contratto (per effetto

della natura dichiarativa della sentenza Lexitor), imponeva la retrocessione anche dei costi

up front.

In secondo luogo, si deve considerare che, poiché la legge non indica al riguardo un

particolare criterio di rimborso, si è in presenza di una lacuna del regolamento contrattuale

che non sarebbe stata configurabile quando la interpretazione dell’art.125 sexies TUB era

correlata ai soli costi recurring, per i quali l’applicazione del criterio di competenza

economica era, ed é giustificato da una regola di diritto comune.

In terzo luogo va osservato che la CGUE, interpretando l’art.16 della Direttiva nel senso

che il metodo di calcolo utilizzabile per procedere alla riduzione dei costi “consiste nel

prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi

l’importo in proporzione alla durata residua del contratto”, non ha imposto un criterio di

riduzione comune e unico per tutte le componenti del costo del finanziamento, intendendo

la “totalità” non già come sommatoria, ma come complessità delle voci di costo. Anche

perché l’autonomia dei contraenti permetterebbe sempre di disciplinare diversamente il

criterio di riduzione, tenendo conto appunto della loro diversa natura, a cominciare dagli

interessi corrispettivi che, pur rientrando nella nozione di costo totale del credito, hanno

una funzione speculativa, inerente a un effetto tipico del contratto di mutuo oneroso,

diversa dalla causa retributiva delle spese amministrative sostenute dall’intermediario.

Nulla esclude quindi che, salvo un intervento normativo (eventualmente retroattivo) che

regoli la materia controversa nel rispetto del dictum della CGUE, le parti, nella loro

residua autonomia contrattuale, possano declinare in modo differenziato il criterio di

rimborso dei costi up front rispetto ai costi recurring, sempre che il criterio prescelto, con

ciò senza escludere la facoltà di estendere il metodo pro rata, sia agevolmente

comprensibile e quantificabile dal consumatore e risponda sempre a un principio di

(relativa) proporzionalità.

Ma se ciò non accada, è il giudicante (nella specie l’Arbitro bancario) che deve integrare il

regolamento contrattuale incompleto individuando il criterio di riduzione applicabile ai costi

up front.

Al riguardo è appena il caso di precisare che la questione non sarebbe diversamente

risolvibile in via interpretativa, sia pure attingendo alle regole dell’ermeneutica oggettiva

(artt.1366 ss.c.c.), perché non si è in presenza di un testo contrattuale oscuro o ambiguo,

di cui debba disvelarsi il senso, dato che dalle condizioni generali di contratto emerge con

chiarezza l’intenzione di limitare la riduzione dei costi del finanziamento ai soli costi

recurring.

Dovendo quindi ricorrersi necessariamente a una fonte eteronoma per la costruzione del

regolamento contrattuale lacunoso e non potendo rinvenirsi al momento una utile

disposizione normativa suppletiva, sia pure secondaria, non resta che il ricorso alla

integrazione “giudiziale” secondo equità (art.1374 c.c.) per determinare l’effetto imposto

dalla rilettura dell’art.125 sexies TUB, con riguardo ai costi up front, effetto non

contemplato dalle parti né regolamentato dalla legge o dagli usi.

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Poiché la equità integrativa è la giustizia del caso concreto, ogni valutazione al riguardo

spetterà ai Collegi territoriali, tenendo conto della particolarità della fattispecie, essendo il

Collegio di Coordinamento privo di poteri paranormativi.

Questo Collegio di Coordinamento, chiamato comunque a decidere come Arbitro del

merito il ricorso sottoposto al suo esame, ritiene peraltro che il criterio preferibile per

quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno

previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del

costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale.

Ciò significa che la riduzione dei costi up front può nella specie effettuarsi secondo lo

stesso metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è stato

utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.d. curva degli interessi), come desumibile dal

piano di ammortamento.

Questa soluzione, pur scontando il limite di introdurre un elemento di diversificazione nel

sistema di calcolo interno alle commissioni, che peraltro è già ammesso con riguardo alla

retrocessione dei premi assicurativi (anch’essi di natura recurring e obbligatori per legge

nei contratti di finanziamento contro cessione del quinto o della pensione) appare allo

stato la più idonea a contemperare equamente gli interessi delle parti contraenti perché,

mentre garantisce il diritto del consumatore a una riduzione proporzionale dei costi

istantanei del finanziamento, tiene conto della loro ontologica differenza rispetto ai costi

recurring e della diversa natura della controprestazione resa; essa, inoltre, trova un

collegamento puntuale nel richiamo alla portata del diritto all’equa riduzione” del costo del

credito, sancito nell’abrogato art.8 della Direttiva 87/102, di cui l’art.16 della Direttiva

2008/48 costituisce una più precisa consacrazione evolutiva.

Non ricorre invece alcuna ragione per discostarsi dai consolidati orientamenti

giurisprudenziali dell’Arbitro bancario per quanto attiene ai costi ricorrenti e agli oneri

assicurativi.

Si tratta ora di vedere, più specificamente, se le conseguenze implicate dalla sentenza

Lexitor investano in concreto il contratto in esame, che è stato stipulato in data anteriore e

che contempla all’art.4 delle condizioni generali predisposte dall’intermediario la

irriducibilità dei costi di istruttoria e di intermediazione dell’agente in attività finanziaria,

espressamente qualificati al precedente art.3, lettere b) ed f) come up front: commissioni

di cui il cliente ha invece chiesto il rimborso con il ricorso (su conforme reclamo, disatteso

dalla controparte).

La risposta non può che essere affermativa dal momento che, com’è noto, le sentenze

interpretative della CGUE sono efficaci ultra partes anche rispetto a situazioni sorte

anteriormente, con esclusione di quelle coperte dal giudicato o esaurite, a meno che sia la

stessa Corte a limitare in via eccezionale la efficacia retroattiva della propria pronuncia in

eventuale contemplazione di possibili ripercussioni dirompenti su un sistema di rapporti

giuridici formatisi in buona fede, facoltà di cui nella specie non ha però ritenuto di

avvalersi.

Poiché il Collegio rimettente ha chiesto al Collegio di Coordinamento una presa di

posizione sulle conseguenze dell’interpretazione della Corte sulla validità degli attuali

orientamenti dell’Arbitro, non resta che indicare in via generale i possibili effetti sui ricorsi,

già decisi o ancora pendenti.

Orbene, per i ricorsi pendenti nei quali il cliente abbia, come nel caso di specie, chiesto il

rimborso di costi up front, la controversia va decisa alla luce della sentenza della CGUE,

sempre che la medesima richiesta sia stata ritualmente formulata anche nel reclamo, in

ragione della nota regola di necessaria corrispondenza tra il ricorso e il reclamo, che è atto

propedeutico alla eventuale soluzione conciliativa della vertenza.

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In ogni caso, è opportuno rammentarlo, vige il limite della domanda, sia nel senso

quantitativo che impedirebbe di disporre una condanna al pagamento per somma

superiore a quella richiesta, sia nel senso qualitativo che impedirebbe di ricondurre nel

quantum formulato il rimborso di somme corrispondenti a specifiche voci di costo di cui

non si sia chiesto il rimborso.

Per i ricorsi già decisi in sede ABF vale la regola del ne bis in idem, già enunciata con

pronuncia n.3962/2012 del Collegio di Coordinamento, che così ha statuito:

“l’accertamento contenuto nella decisione del Collegio non fa stato tra le parti né

impedisce alle parti di ricorrere ad ogni altro mezzo previsto dall’ordinamento per la tutela

dei propri interessi. Ma ciò non autorizza a ritenere che, dopo la decisione il ricorso possa

essere riproposto per un nuovo esame davanti allo stesso Collegio decidente o ad altro

Collegio dell’ABF. Invero la decisione, una volta che sia stata comunicata alle parti, non

può essere più modificata”, ….ma può essere solo corretta se affetta da errori materiali o

di calcolo….”Deve pertanto escludersi che il ricorrente, in tutto o in parte insoddisfatto

dell’esito del ricorso, possa riproporre il ricorso” .

La pronuncia ora citata afferma in sostanza il principio, in tutto condivisibile, ma anche

scontato, che se la decisione di un Collegio ABF non può essere modificata, non può per

ciò stesso ammettersi la proposizione di un nuovo ricorso che tenda a modificarla. Tale

argomento potrebbe in astratto reputarsi non del tutto pertinente rispetto alla ipotesi in cui

il secondo ricorso sia finalizzato ad ottenere un bene della vita diverso (per l’appunto, il

rimborso di costi up front), se considerato estraneo alla domanda formulata nel primo

ricorso (proposto ai fini del rimborso dei soli costi recurring) e sulla quale il Collegio abbia

in precedenza già statuito.

Bisogna perciò procedere a una distinzione con gli opportuni chiarimenti:

- se il cliente ha a suo tempo domandato la retrocessione di tutti i costi, compresi

quelli up front, e il Collegio, in accoglimento parziale del ricorso, gli ha riconosciuto

soltanto la retrocessione di costi recurring, la pretesa afferente ai costi up front non

può essere riproposta in virtù del principio ne bis in idem;

- se invece nel primo ricorso il cliente ha chiesto soltanto il rimborso di costi

recurring, può porsi, come detto, il diverso quesito se sia ammissibile un nuovo

ricorso a ciò finalizzato. Ebbene, anche in tale ipotesi deve pervenirsi alla identica

conclusione della inammissibilità del nuovo ricorso. Infatti, pur scartando la

possibilità di assimilare tecnicamente la decisione resa nel procedimento ABF a

una pronuncia giurisdizionale idonea al giudicato ex art.2909 c.c., con tutto ciò che

ne discenderebbe in tema di interpretazione del giudicato stesso in base al principio

processualcivilistico del dedotto e deducibile, e pur tenuto conto della possibilità

marginale di ravvisare nella esecuzione di una decisione dell’ABF una definizione

transattiva della lite eccepibile dall’intermediario, va considerato che la deduzione di

ulteriori voci di costo ripetibili (commissioni up front) derivanti dal medesimo fatto

costitutivo (la estinzione anticipata del finanziamento) che fu posto a giustificazione

della prima richiesta avente ad oggetto la riduzione dei soli costi recurring si

risolverebbe nella postulazione di una modifica della precedente domanda che, se

accolta, si tradurrebbe a sua volta nella inammissibile modifica della decisione già

assunta. Del resto, la presentazione di un secondo ricorso avente ad oggetto una

ulteriore posta creditoria discendente dallo stesso fatto costitutivo comporterebbe la

evidente violazione del principio di infrazionabilità della domanda (nei limiti in cui è

stato ancora riconosciuto dal più recente orientamento della giurisprudenza di

legittimità: v. S.U. Cass. n. 23726/2017), principio che ancor più vale nel

procedimento ABF, che è connotato da peculiari esigenze di rapidità ed

economicità tipiche dei sistemi ADR (v. artt.128 bis TUB e 143 bis, comma 2 lett. f)

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Cod. consumo) incompatibili con la frammentazione di pretese ricollegabili a una

unica fonte obbligatoria. Né varrebbe obiettare che all’epoca di proposizione del

primo ricorso il cliente avrebbe potuto fare affidamento sulla granitica

giurisprudenza dell’ABF che limitava il diritto alla riduzione dei costi alle

commissioni recurring, sì da rinunciare a un esito di prevedibile rigetto di pretese

riferibili ai costi up front, dato che la normativa applicabile anche a quel tempo, in

virtù della sentenza interpretativa della CGUE, era già quella che gli avrebbe invece

consentito di pretenderne la retrocessione.

- Nessuna preclusione, ovviamente, può profilarsi rispetto ai nuovi ricorsi, se non

quella generale, di carattere procedimentale, rappresentata dalla necessità della

preventiva proposizione di un “conforme” reclamo, e quella di carattere sostanziale

determinata dall’eventuale decorso della prescrizione che sia eccepita

dall’intermediario (c.d. rapporti “esauriti”). Ma per le ragioni già illustrate in ordine

alla infrazionabilità della domanda, deve escludersi la possibilità che, in pendenza

di un ricorso finalizzato al rimborso dei soli costi recurring, il cliente, edotto della

sopravvenuta sentenza Lexitor, possa proporne un altro separato ai fini del

rimborso dei costi up front, magari invocando la riunione dei ricorsi, salva la

possibilità di rinunciare a entrambi e proporre successivamente un ricorso unitario

volto alla retrocessione di tutti i costi ripetibili in conseguenza della estinzione

anticipata del finanziamento.

Il Collegio di Coordinamento enuncia quindi il seguente articolato principio di diritto:

“A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea,

immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art.125 sexies TUB deve

essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il

consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito,

compresi i costi up front”.

“Il criterio applicabile per la riduzione dei costi istantanei, in mancanza di una diversa

previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve

essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i

costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati

dell’ABF”.

“La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché

preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”.

“Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una

decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”.

“Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up

front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring” .

Questi enunciati, che sono volti a soddisfare i quesiti del Collegio rimettente e sono

funzionali alla decisione di merito, non esauriscono ovviamente il dibattito su tutti i temi

astrattamente ricollegabili all’applicazione della sentenza Lexitor, sui quali i Collegi

territoriali potranno nel tempo apportare gli opportuni contributi di pensiero in relazione ai

casi concreti da risolvere, dato che - l’occasione è propizia per rammentarlo - la funzione

del Collegio di Coordinamento non è certo quella di erogare preventive consulenze su

quesiti astratti, ma di risolvere casi specifici implicanti la soluzione di rilevanti questioni di

diritto, possibilmente di matura elaborazione.

Venendo finalmente alla soluzione della fattispecie concreta alla luce delle considerazioni

fin qui svolte, va rilevato che il ricorrente ha chiesto il rimborso della somma di euro 945,24

calcolandola con metodo pro rata temporis su tutte le commissioni corrisposte,

comprensive degli importi versati per spese di istruttoria (pari a euro 1.257,77) e per


 
 
 

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